venerdì 5 agosto 2016

I nostri tesori

Noi sardi, avendo subito sempre invasioni straniere, abbiamo perso (o rinunciato?) una parte della nostra storia o, forse abbiamo permesso loro (per incapacità nostre oppure perchè lo straniero di turno era troppo forte) di scrivere la nostra storia secondo i loro interessi economici, la loro lingua e cultura.
Il tesoro più grande che non potrà mai esserci sotratto è la nostra civiltà che più di ogni altra ci caratterizza e cioè le migliaia di nuraghi sparsi per tutta la Sardegna. Su questo tesoro io credo che non dobbiamo più permettere intromissioni, saccheggi, abbandono, incuria ecc.
Questa civiltà che va dal 1800 a. C. fino al 238 a. C., è stata la più moderna per l’epoca per inventiva e per capacità tecnica. Questi nostri antenati, provenienti da tutto il Mediterraneo, li immagino portatori ognuno di conoscenze e capacità proprie che poi nel tempo, immagino, si sono come “fuse” dando poi origine a una volontà unitaria capace di produrre qualcosa come otto – nove mila nuraghi.
Salvaguardare quest’enorme patrimonio non è cosa semplice; tuttavia ci dobbiamo provare e credere! Condivido le iniziative di nur – net e il Mistero dei nuraghi che possono essere visitati su iternet o su facebook.
Soltanto noi sardi possiamo salvare la Sardegna e protrggerla.


Sardo sono

giovedì 4 agosto 2016

A su fogu, a su fogu!

Come ogni estate, ci risiamo. Gli incendi che distruggono tutto quanto trovano nella loro strada: boschi, campi coltivati a grano e altri cereali, case al mare e montagna, aziende artigiane e agricole, animali bruciati vivi, o salvati per miracolo, persone di tutte le età e condizione intrappolate nelle fiamme che fuggono verso qualsiasi parte col terrore di non farcela (come successe a Tempio Pausania). Dopo il passaggio del fuoco, il panorama è desolante, nero, fuligine e cenere sparsa, trasportata dal vento. Ogni forma di vita si ferma. Il paesaggio infonde rabbia, paura, impotenza, rassegnazione. Il fuoco è bello d’inverno per scaldarsi, per arrostire, per raccontare la vita (contus de forredda), per assaggiare il vino novello, per abrustolire il pane accompagnato magari da una fetta di pecorino alla brace, per fare gruppo tra giovani e anziani e tante altre cose che fanno bene al corpo e…allo spirito!

Sardo sono

sabato 28 maggio 2016

I Sardi pocos locos y mal unidos?

di Francesco Casula - Pubblicato il: 23/09/2013

Noto che intellettuali insospettabili e avveduti continuano a ripetere il becero e trito luogo comune sui Sardi pocos, locos y mal unidos, attribuito a Carlo V, ma mai verificato in alcun documento o altra fonte storica. Del resto l’imperatore poco doveva conoscere la Sardegna se non dai dispacci “interessati” dei vice re: solo due volte la visitò direttamente. Nel 1535 quando durante la spedizione contro Tunisi e i Barbareschi sbarcò a Cagliari trattenendosi alcune ore e nell’ottobre del 1541, nella seconda spedizione, questa volta contro Algeri, il più attivo nido dei Barbareschi. In questo caso la flotta imperiale sostò in Sardegna: ma non – come ebbe a sostenere Carlo V – per visitare Alghero, dove passò la notte del 7, bensì per esserne abbondantemente approvvigionato, a spese della popolazione della città catalana e dell’intero sassarese. Ma tant’è: tale luogo comune – a prescindere da Carlo V – è stato interiorizzato da molti sardi, con effetti devastanti, specie a livello psicologico e culturale  (vergogna di sé, complessi di  inferiorità, poca autostima, voglia di autocommiserazione e di lamentazione) ma con riverberi in plurime dimensioni: tra cui quella socio-economica. I Sardi certo sono pocos: e questo di per sé non è necessariamente un fattore negativo.  Ma non locos: ovvero stolti, stolidi e men che meno imbecilli. Certo le esuberanti creatività e ingegnosità popolari dei Sardi furono represse e strangolate dal genocidio e dal dominio romano.  Ma la Sardegna, a dispetto degli otto trionfi celebrati dai consoli romani, fu una delle ultime aree mediterranee a subire la pax romana, afferma lo storico  Meloni. E non fu annientata. La resistenza continuò. I Sardi riuscirono a rigenerarsi, oltrepassando le sconfitte e ridiventando indipendenti con i quattro Giudicati: sos rennos. Certo con catalani, spagnoli e piemontesi furono di nuovo dominati e repressi: ma dopo secoli di rassegnazione, a fine Settecento furono di nuovo capaci ai alzare la schiena e di ribellarsi dando vita a quella rivoluzione antifeudale, popolare e nazionale che porrà la base della Sardegna moderna.
Certo, si è tentato in ogni modo di scardinare e annientare lo spirito comunitario, la solidarietà popolare, quella pluralità di reti sociali e di relazione che avevano caratterizzato da sempre le Comunità sarde con variegati sistemi e costumi solidaristici e di forte unità: basti pensare a s’ajudu torrau o a sa ponidura: costumanza che colpirà persino un viaggiatore e visitatore come La Marmora che [in Viaggio in Sardegna di Alberto Della Marmora, Gianni Trois editore, Cagliari 1955, Prima Parte, Libro primo, capitolo VII., pagine 207-209] scriverà:”. Fra le usanze dei campagnuoli della Sardegna, alcune sono degne di nota e sembrano risalire all'antichità più remota : citeremo le seguenti.
Ponidura o paradura. –  Quando un pastore ha subito qualche perdita e vuol rifare il suo gregge, l'usanza gli dà facoltà di fare quel che si dice la ponidura o paradura. Egli compie nel suo villaggio, e magari in quelli vicini, una vera questua. Ogni pastore gli dà almeno una bestia giovane, in modo che il danneggiato mette subito insieme un gregge d'un certo valore, senza contrarre alcun obbligo, all'infuori di quello di rendere lo stesso servizio a chi poi lo reclamasse da lui…” 
Così le identità etnico-linguistiche, le specialità territoriali e ambientali, le peculiarità tradizionali, pur operanti in condizioni oggettive di marginalità economica sociale e geopolitica permangono. I Sardi infatti, nonostante le tormentate vicende storiche costellate di invasioni, dominazioni e spoliazioni, hanno avuto la capacità di metabolizzare gli influssi esterni producendo una cultura viva e articolata che ha poche similitudini nel resto del mediterraneo. Basti pensare al patrimonio tecnico-artistico, alla cultura materiale e artigianale, alla tradizione etnico-musicale connessa alla costruzione degli strumenti, alla complessa e stratificata realtà dei centri storici e delle sagre, agli studi sulla realtà etno-linguistica, alla straordinaria valenza mondiale del patrimonio archeologico e dei beni culturali, all’arte: da quella dei bronzetti a quella dei retabli medievali; dagli affreschi delle chiese ai murales, sparsi in circa duecento paesi; dalla pittura alla scultura moderna.
Ma soprattutto basti pensare alla Lingua, spia dell’Identità e substrato della civiltà sarda. Entrambe non totem immobili (sarebbero state così destinate a una sorte di elementi museali e residuali) ma anzi estremamente dinamiche. La poesia, la letteratura, l’arte, la musica, pur conservando infatti le loro radici in una tradizione millenaria, non hanno mai cessato di evolversi, aprirsi e contaminarsi, a confronto con le culture altre. Soprattutto questo avviene nei tempi della modernità, a significare che la cultura sarda non è mummificata. Anche il diritto consuetudinario – padre e figlio di quel monumento della civiltà giuridica che è la Carta de Logu – si è trasformato nel tempo, anche se la sua applicazione concreta (per esempio il cosiddetto “Codice barbaricino”) è da un lato costretta alla clandestinità e dall’altro a una restrizione alla società del “noi pastori”. Solo la crescita e l’affermarsi di studiosi, sardi non tanto per anagrafe quanto per autonomia dall’accademia autoreferente, ha fatto sì che gli elementi fondanti la cultura e la civiltà sarda passassero dall’enfasi identitaria alla fondatezza scientifica. Alla straordinaria ricchezza culturale sono tuttavia spesso mancati, almeno fin’ora, i mezzi per una crescita e prosperità materiale adeguata. Oggi, dopo il sostanziale fallimento dell’ipotesi di industrializzazione petrolchimica, si punta molto sull’ambiente e sul turismo, settore quest’ultimo sicuramente molto promettente, purché si integri con gli altri settori produttivi, ad  iniziare da quelli tradizionali come l’agricoltura, la pastorizia e l’artigianato. La struttura economica sarda infatti è sempre stata fortemente caratterizzata dalla pastorizia, che oggi però con i suoi quattro milioni di pecore, sottoposta com’è a processi di ridimensionamento dalle politiche dell’Unione europea, rischia una drammatica crisi.

martedì 15 marzo 2016

Idi di marzo

Gaio Giulio Cesare

Il primo triumvirato, l'accordo privato per la spartizione del potere con Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso, segnò l'inizio della sua ascesa. Dopo la morte di Crasso (Carre, 53 a.C.), Cesare si scontrò con Pompeo e la fazione degli Optimates per il controllo dello stato. Nel 49 a.C., di ritorno dalla Gallia, guidò le sue legioni attraverso il Rubicone, pronunciando le celebri parole «Alea iacta est», (“il dado è tratto”) e scatenò la guerra civile, con la quale divenne capo indiscusso di Roma. Alla vigilia dell'omicidio, Calpurnia, la moglie di Cesare, donna del tutto priva di superstizioni religiose, fu sconvolta da sogni in cui la casa le crollava addosso, e lei stessa teneva tra le braccia il marito ucciso. Lo stesso Cesare sognò di librarsi nell'etere, volando sopra le nubi e stringendo la mano a Giove. Il giorno successivo, quello delle Idi di marzo, il 15 del mese, Calpurnia pregò dunque Cesare di restare in casa, ma quegli, che la sera prima aveva detto, a casa di Lepido, che avrebbe preferito una morte improvvisa allo sfinimento della vecchiaia, sebbene si sentisse poco bene, fu convinto dal congiurato Decimo Bruto Albino a recarsi comunque in senato.
Entrato in senato, si andò a sedere ignaro al suo seggio, dove fu subito attorniato dai congiurati che finsero di dovergli chiedere grazie e favori. Mentre Decimo Bruto intratteneva il possente Antonio fuori dalla Curia, per evitare che prestasse soccorso, al segnale convenuto, Publio Servilio Casca Longo sfoderò il pugnale e colpì Cesare al collo, causandogli una ferita superficiale e non mortale. Cesare invece, per nulla indebolito, cercò di difendersi con lo stilo che aveva in mano, e apostrofò il suo feritore dicendo: "Scelleratissimo Casca, che fai?" o gridando "Ma questa è violenza!" Casca, allora, chiese aiuto al fratello, e tutti i congiurati che si erano fatti attorno a Cesare si scagliarono con i pugnali contro il loro obiettivo: Cesare tentò inutilmente di schivare le pugnalate dei congiurati, ma quando capì di essere circondato e vide anche Bruto farglisi contro, raccolse le vesti per pudicizia e alcuni dicono si coprisse il capo con la toga prima di spirare, trafitto da ventitré coltellate. Cadde ai piedi della statua di Pompeo, pronunciando le ultime parole che sono state riferite in vario modo:
  • Tu quoque, Brute, fili mi! ("Anche tu Bruto, figlio mio!").

Svetonio gli attribuisce numerose relazioni, che gli costarono anche notevoli somme di denaro; lo stesso autore dice peraltro che il suo più grande amore fu Servilia Cepione, madre di Marco Giunio Bruto, che fu sua amante per moltissimi anni ed alla quale fece favolosi doni. Proprio questo rapporto sarebbe all'origine della celebre frase sopra citata e pronunciata nei confronti di Bruto mentre veniva colpito da quest'ultimo.

venerdì 19 febbraio 2016

Dicono di noi

Cicerone (106 - 43 a. C.)
Un ex governatore della Sardegna, Aemilio Scauro, era stato accusato di aver imposto tre decime (tasse) di cui due erano autorizzate da Roma, la terza l'aveva stabilita lui per intascarsela. Scauro per quest'abuso fu processato. Al processo, che si celebrò a Roma, testimoniarono contro di lui 120 sardi. Cicerone coprì d'insulti tutti quanti sostenendo: "come si può dare ascolto e credibilità a questi sardi pelliti (vestiti con le pelli) che non sanno neppure parlare il latino". Non esita a dipingerli come ladroni con la mastruca (un giaccone lungo in pelle di capra o pecora); i suoi giudizi sulla Sardegna e sui sardi furono infamanti e insultanti. I sardi furono considerati inaffidabili e disonesti. Scauro fu assolto. Furono screditati i testimoni e l'intero popolo sardo compresa la  la sua origine. Cicerone filosofo, scrittore, avvocato e politico non si discute; sull'etica professionale e morale, con il suo tempo, sembra un processo accaduto ieri!

Sardo sono

martedì 24 novembre 2015

Sa scomuniga de predi Antiogu arrettori de Masuddas.

E’ un Capolavoro della cultura popolare, scritto nella seconda metà del 1800 in lingua sarda nella variante campidanese della Marmilla, in versi. Predi Antiogu, è vittima nel corso di una notte di un furto di bestiame. Non si conosce l’autore di quest’opera. Potrebbero essere un sacerdote stesso conoscitore dell’ambiente, o un avvocato anch’egli conoscitore dell’ambiente.
Propongo alcuni passi del poema, molto divertenti. Suggerisco di leggere più  volte (diciamo due) i versi, poiché noi sardi non siamo tanto abituati a leggere il sardo!
5-10 Populu de Masuddas, chi a s’ora de accuiai is cabonis e is puddas, basseis a scrucullai, donaimì attenzioni po totu su chi si nau, si ap’a tenni arrexoni de ciccai is crabas mias, ca funti già dua bias chi dd’appu fatu notorio e custu ad essi su trezzu e uttimu monitoriu.
20-25-30 Po cuddus chi no ddu scint, obrascendi a sa di binti de su mesi chi ddu e’ bassiu, ind’una notti ‘e scuriu, facci a su spanigadroxu a i’ duas oras po is tresi fuanta prus de cincu o sesi, chi a pistoa e a scupetta, passau’ funti in Genn’eretta, s’ecca ant assatillau e is crabas nd’anti liau de mimi su Vicariu; ch’e sagundu su summariu chi ddu’ a’ fattu me in Curia su missennori  Notariu…
45-50-55 Auncas arzeus sa ‘oxi: is crabas fuanta doxi senza chi sianta contadas cuattru brabeis angiadas i atras tres allanttantis chi cincu dis innantis po essi troppu pittias i si ddui fuanta istruias. Ddui fud u’angioneddu senza de teni s’annu, chi a paxi su scureddu, no podia mancu bassi, ca ddi luxia’ su piu de cantu fu’ grassu, ni a de notti ni ade di.
55-60-65-70-75 Ddui fu’ su crabu mannu, ddui fu’ su mascu ‘e ghia e u’antru, chi ndi tenia chi donni’ annu, po Pasca, senza nienti de malu, a una gomai mia ndi fadia, s’arregallu. E po tali sinnali pottanta is pegus mius totus sa gutturada. Pottada su crabu sou, po chi essi’ fattu scidu, sonalla e pitaio. Su tontu! A no ai sonau candu ndi ddanti liau, ca ndi fuia bassiu cun sa daga e is trumbonis, ca si ant’essi cagau po finzas is crazonis.

Sardo sono

mercoledì 11 novembre 2015

La nostra storia

Letteratura sarda a cura del Prof. Francesco Casula. Presso Università della terza età – Sanluri

L’argomento è stato trattato con grande lucidità e passione. Non è vero che la letteratura è materia riservata ai letterati, scrittori poeti ecc. La letteratura dobbiamo vederla e intenderla come la rappresentazione della vita materiale e spirituale di un popolo. E quel’è lo strumento con cui la letteratura cammina? La sua lingua! La Sardegna ha vissuto e subito tante dominazioni: cartaginesi, romani, vandali, bizantini. Con i Giudicati (o regni) la Sardegna ha conosciuto un periodo di autonomia sovrana e grazie a essa, la lingua sarda è stata utilizzata in tutti gli ambiti della vita pubblica, privata ed ecclesiastica. In lingua sarda si scriveva nei monasteri (i famosi condaghi). Questi erano registri sulle attività del monastero tipo acquisti, vendite, pagamenti ecc. Uno spaccato della vita economico – sociale del tempo. I dominatori che si sono succeduti nel corso dei secoli, hanno imposto la propria lingua (e con essa la loro cultura) relegando la nostra a un ruolo marginale e consentendo per forza soltanto la parlata orale; la scrittura invece è stata messa “all’angolo”, nascosta il più possibile. Eppure abbiamo un patrimonio letterario di grande valore che, soprattutto grazie a scrittori, intellettuali della nostra terra, questo patrimonio ha ripreso a camminare. Noi sardi e amanti della Sardegna dobbiamo diventare veicolo di diffusione della nostra lingua verso le nuove generazioni. Respingiamo l’opinione purtroppo diffusa secondo la quale si ritiene che convenga studiare le lingue straniere (l’inglese soprattutto). Niente di più sbagliato! Sapere più lingue è sempre una risorsa in più.

Unu saludu da

Sardo sono