martedì 30 settembre 2014

C'era una volta

Ormai, tutto ciò che si rifà al nostro passato, viene “rincorso” o si prova a riscoprirlo. Molti paesi della Sardegna promuovono sagre, rievocazioni a tema.
Mi permetto tuttavia, di rilevare che quanto viene rievocato dev’essere autentico e legato a una tradizione alimentare, al matrimonio, al divertimento, alla musica, al canto, a un mestiere ecc. ecc.
Ecco alcuni esempi:
Pane immerso nell’uovo e fritto in olio d’oliva (“pani indorau”) fregola di semola (“fregua”), lumache (“sinzicorrus”), “pecora in cappotto”, dolci con la ricotta (“pardulas”), dolci con le mandorle (gli amaretti), ravioli con la ricotta (“culurgionis”), pane – formaggio e vino a…volontà (“pani – casu e binu a rasu”), la vendemmia (“sa binnenna”), per non parlare delle manifestazioni nei paesi o villaggi vicino al mare, la sagra del tonno, del mugine (“mugheddu”), dei ricci, il tutto cucinato in mille maniere, da… leccarsi i baffi! 
Queste iniziative, sono di grande aiuto all’economia isolana; fanno incontrare popolazioni di diversi paesi della Sardegna, si conoscono e si confrontano le abitudini alimentari, si può parlare in sardo nelle sue varianti locali ma, con un po’ di attenzione e pazienza, si riesce tra sardi di diversa provenienza a comunicare e approfondire quel legame che ci fa sentire…sardi!
A queste manifestazioni, ovviamente partecipano anche cittadini di altre regioni e cittadini stranieri; con la nostra proverbiale ospitalità (che può essere migliorata), abbiamo le carte in regola per lasciare in loro un ricordo tale da invogliarli a ritornare.
Il turismo se non c’è ospitalità che cos’è?

sardo sono

martedì 23 settembre 2014

Desiderio di sovranità

I fatti di Capo Frasca (esercitazioni militari che hanno causato un vasto incendio nella zona) e il referendum in Scozia riguardante la secessione o meno dal Regno Unito, hanno risvegliato l’attenzione e aspirazione dei popoli desiderosi di ottenere l’indipendenza e/o sovranità dagli stati centrali sotto i quali ora si trovano.

I sardi (tra questi popoli) hanno nel loro DNA l’aspirazione all’indipendenza, che significa possibilità di decidere da soli il proprio futuro e questo non è un capriccio o un atto di superbia ma la consapevolezza che, dopo aver subito nel corso della storia, ogni genere di soprafazione, vogliono essere padroni e protagonisti del proprio destino.

La nostra lingua è uno strumento formidabile, che possiamo e dobbiamo sfruttare per comunicare e condividere la nostra identità e senso di appartenenza. Tale strumento però, spetta a noi utilizzarlo e diffonderlo in ogni occasione e tra le nuove generazioni.

L’opinione secondo la quale il sardo del campidano (per fare un esempio) non comprende quello del logudoro o, quello della barbagia o di altra zona, a mio parere, è falsa! Certo, capisco che la parlata è differente ma ciò ci sembra complicato perché non la pratichiamo! Provate a parlare il sardo della vostra zona con un sardo di un’altra provincia. Vedrete che dopo qualche difficoltà capirete tutto.

sardo sono

sabato 20 settembre 2014

tradizione e nazione

Ho assistito alla festa in onore del Santo patrono a Dorgali (NU). Il comitato organizzatore offriva una bevanda, un dolce tipico, e biglietti di una lotteria al prezzo di un euro l’uno. Ho saputo che una volta per questa festa si prevedevano otto giorni di balli in piazza!  Oggi invece, solo tre giorni.

Non c’erano gruppi in costume tradizionale, né complessino o altro musicista né cartelloni con gli sponsor o roba del genere. La piazza completa di gradinata per il pubblico da una parte; dal lato opposto c’erano due casse acustiche, un microfono, e un computer con alcuni cd, tutti rigorosamente di musica da ballo sardo tipica della zona.

La gente del paese, di tutte le età un po per volta è scesa in piazza a ballare  il ballo sardo, nelle sue varianti musicali e locali. È stato uno spettacolo genuino, semplice e mi ha fatto ricordare quando da adolesente e prima gioventù, a Genuri il mio paese, tutti quanti (o nella grande maggioranza) si divertivano per alcuni giorni sia con il ballo sardo che con altri tipi di ballo italiano (ricordo che i grandi lo chiamavano “ballo civile”!).

In particolare, mi hanno colpito i ragazzi e le ragazze di tutte le età (c’erano anche bambini di cinque – dieci anni) ballare il ballo sardo sia tra di loro, sia in compagnia degli adulti che insegnavano loro i passi e il ritmo. Bello ed emozionante!

Ho visto la gente divertirsi e, secondo me, vi era la voglia di portare avanti la tradizione popolare unita all’identità comune (la nostra lingua e la nostra Sardegna) che poi ti fa sentire nazione.

sardo sono

mercoledì 10 settembre 2014

L'isola che c'è - cinque

In merito alle ultime vicende relative alle esercitazioni militari, vorrei proporre alla attenzione di tutti i fatti accaduti nelle campagne di Orgosolo nel 1969. È la dimostrazione che se i sardi si mobilitano in nome di un obiettivo chiaro, vincono; è anche la dimostrazione che le forze politiche istituzionali non sempre (!) sono dalla parte dei sardi, ma sono al traino dei partiti nazionali.

I fatti di Pratobello
Pratobello 1969 racconta la rivolta popolare degli orgolesi contro l'occupazione militare di 13 mila ettari di pascoli. È la storia di un mese frenetico e senza sonno, di una lotta senza partito che vincerà sulle migliaia di soldati e sulle decisioni prese a Roma. Tutto ha inizio il 27 maggio 1969 quando sui muri ancora spogli di Orgosolo compaiono dei manifesti intestati alla Brigata Trieste. Il testo impone ai pastori e ai braccianti agricoli che lavorano in territorio di Pratobello di abbandonare la zona e trasferire il bestiame altrove. Perché per due mesi il terreno da pascolo sarà un poligono di tiro. A questa notizia se ne aggiunge un'altra, non ufficiale, che circola in paese: quello che il Governo italiano chiama "poligono temporaneo" mira in realtà a diventare un campo di addestramento e tiro permanente.

Il 9 giugno, 3500 orgolesi iniziano l'occupazione dei campi. Donne, uomini e bambini, affrontano i militari faccia a faccia. Non si verifica nessun episodio di violenza ma qualcosa di molto più forte. Le donne raggiungono i soldati, li guardano negli occhi, iniziano a parlare. Spiegano loro cosa hanno in testa. «I militari - spiega Nanni Moro del Circolo - iniziano a vedere con gli occhi della popolazione». Gli abitanti corrono sotto il sole giorno dopo giorno per tenere occupato l'esercito e impedire le esercitazioni. È una rivolta senza sangue. Dai manifesti che chiedono 'concimi, non proiettili' nasceranno i primi murales.

I giornali fanno il gioco del Governo perché nessuno deve sapere che la gente può dire no alle servitù militari. Il 26 giugno la vittoria arriva ma i partiti e i sindacati fanno fare uno scivolone alla lotta. Il poligono di tiro non sarà permanente ma per due mesi si sparerà: quella del ventisei è una serata di stanchezza e la promessa d’indennizzi ai pastori fa il resto. La vittoria arriva ma si porta dietro quest'ombra scura. A sottolineare che la lotta, quella vinta, è tutta del popolo, mentre gli accordi, i compromessi e le figuracce, vanno ai partiti, sindacati e giornali di allora.

sardo sono



domenica 7 settembre 2014

Sardegna e identità

Quando penso all’identità nazionale, penso agli americani con la loro bandiera, ai francesi, ma soprattutto all’Italia e a noi italiani, ancora in ritardo nella condivisione di questo valore e sentimento invisibile ma fondamentale per essere nazione.
Questo valore e sentimento è invece molto radicato in noi sardi, riferito  alla nostra Sardegna, che però non riesce a prevalere sulla nostra antica abitudine di essere “pochi e divisi” come ci volevano i catalano – aragonesi, i piemontesi fino all’unità d’Italia e tutt’ora in voga con l’attuale stato centrale, ma con qualche sagnale (finalmente!) di presa di coscienza sulla nostra specificità storica.
L’identità nazionale non è, secondo me, in contrasto con la nostra identità sarda. Noi ci sentiamo soprattutto sardi perché l’Italia non riconosce la nostra specificità, la nostra lingua, più antica della lingua italiana, e derivata anch’essa dal latino e, non ultime, le nostre tradizioni.
Sentirci prma di tutto sardi e magari poco italiani come spesso mi è capitato di sentire, alimenta un’opinione negativa nei nostri confronti. Penso che la nostra identità sarda, la dobbiamo coniugare a quella nazionale, esprimendoci senza complessi, quando è possibile, con la nostra lingua nelle varianti imparate dai nostri nonni e genitori.
Più i sardi parlano il sardo, più diventano protagonisti e consapevoli delle proprie origini; l’insegnamento della lingua sarda poi sarebbe un risultato straordinario. In questo però, ci dobbiamo credere tutti!

sardo sono

sabato 6 settembre 2014

Sardegna e servitù

Per la sua centralità nel mediterraneo occidentale, la nostra terra è da sempre oggetto di occupazione militare ed economica. La Sardegna e i sardi, dopo tanti secoli di occupazioni e sconfitte, si sono abituati e rassegnati a questo stato di cose.
Tuttavia, il sentimento che ci lega alla nostra terra è sempre presente nel nostro modo di essere. Il collante principale penso sia la lingua che, pur con tutte le sue varianti locali, riesce a trasmettere ad ogni sardo il valore dell’identità che ci rende diversi dai nostri concittadini italiani. 
Quanto accaduto negli ultimi giorni a Capo Frasca durante alcune esercitazioni militari (esplosione di una bomba e successivo incendio della macchia mediterranea) conferma che il raporto tra la Sardegna, i sardi e lo stato centrale è di totale sottomissione (il termine non mi piace, ma rende l’idea!). In questo caso, penso che bisogna essere più realisti del re; esprimo quindi il mio pensiero:
1-le esercitazioni militari e con esse i territori necessari alle stesse, fanno parte dei piani di difessa dell’Italia di cui noi facciamo parte e da queste non possiamo prescindere;
2-noi sardi, pur essendo profondamente legati alla nostra terra, siamo rappresentati da una classe politica espressione dei partiti nazionali. Tutte le forze politiche sarde, a mio parere, sono a traino di quelle nazionali e finiscono per essere dei “guardiani” dello stato centrale; a parole, si schierano dalla parte dei sardi ma come sempre passata la bufera, torna tutto come prima!
3-lo stato centrale deve riconoscere alla Sardegna e ai sardi la continuità territoriale reale, significa che i trasporti, l’energia, l’istruzione, il lavoro ecc. deve tenere conto dei costi aggiuntivi e minori opportunità di crescita per chi risiede nella nostra isola rispetto ai nostri concittadini delle altre regioni.
4- il fattore che impedisce di ottenere dei risultati è l’ostinata e autolesionista incapacità di ricercare l’unità tra le forze politiche isolane.

sardo sono

giovedì 4 settembre 2014

Ossidiana

Prima della scoperta dei metalli, la Sardegna ha vissuto un lungo periodo di benessere grazie al commercio dell’ossidiana del monte Arci. Le ricerche archeologiche hanno evidenziato una grossa presenza umana nell’attività estrattiva intorno al monte citato.

Da ricerche archeologiche, sono diversi giacimenti in prossimità degli attuali paesi di Pau, Masullas, Marrubiu, Morgongiori. Si sono riscontrati oltre settanta centri di lavorazione a un’altitudine media di 319 metri tutti intorno al monte Arci. Questi dati danno l’idea di quanta attrazione esercitasse su quelle genti, questo prezioso materiale.

Immagino una moltitudine di persone, di età diverse, con animali domati, al seguito, carri attrezzati per il trasporto del minerale che alimentava non solo il mercato interno ma anche quello esterno verso la Corsica, la Toscana, la Provenza (Francia meridionale), in concorrenza (forse) con le produzioni dell’Italia meridionale e della Sicilia (Eolie).

L’ossodiana, definita da alcuni studiosi, l’oro nero dell’antichità, era il risultato delle eruzioni vulcaniche con grandiose colate basaltiche avvenute diversi milioni di anni fa, si prestava a molteplici usi nella vita quotidiana. Era dura come il vetro con spigoli taglienti e quindi adatta a tagliare e incidere e, non ultimo, alla fabbricazione di armi (punte per frecce) per la caccia e difesa personale.

Immagino il nucleo familiare o clan organizzato secondo esigenze di sopravivenza e difesa da animali feroci e genti o clan o tribù ostili; i nuclei abitativi erano in genere privi di opere di difesa a conferma di società pacifiche in generale.

Alla prossima puntata!

sardo sono

mercoledì 3 settembre 2014

L'isola che c'è quattro

Propongo all’attenzione di tutti alcune note tratte dal libro “La civiltà dei sardi” del prof. Giovanni Lilliu:

1- la scarsa popolazione, in ogni tempo, del suolo sardo dipende anche dal basso potere di attrazione del litorale isolano che non ha favorito quel fenomeno di colonizzazione e di popolamento caratteristico della Sicilia e della Magna Grecia.
2- sulla costa orientale si trova Punta Orrolatzi che precipita sul mare per 757 metri. Questo dorso si staglia sul mare come un bastione ostile al navigante che viene dall’est dissuadendolo dall’incontro con le genti che vivono dietro quella barriera chiuse come in un carcere.
3- fuamvano i vulcani contro i cieli di silenzio e di luna; vasti incendi spontanei di foreste (quali si sono potuti riconoscere nella grotta di ziu Santoru – Dorgali) illuminavano le notti senza uomini. Ma, un giorno questi arrivarono dal mare: chissà, un pugno di avventurieri sbattuti dalla tempesta, o lasciatisi guidare dalle correnti marine?
4- Scartata la venuta per mare, resta la spiegazione che l’isola fosse stata raggiunta via terrestre, attraverso un ponte “continentale”. Il periodo glaciale del Riss (200.000 anni), che provocò l’abbassamento del livello del mare di circa 200 metri (peraltro la fossa tra Corsica e isole Toscane profonda almeno 390 metri) è quello che incontra minori difficoltà a essere accettato per il passaggio dell’uomo dal continente alla Sardegna (si badi la Sardegna settentrionale).

L’isola che c’è da appuntamento alla prossima puntata.

sardo sono

martedì 2 settembre 2014

L'isola che c'è - tre

Le genti arrivate in Sardegna in epoca neolitica (detta anche eta’ della pietra levigata), non conoscevano “l’arte” della guerra. L’archeologia di quel periodo non evidenzia costruzioni a scopo di difesa. Le genti, possiamo immaginarle, dedite alla caccia per procurarsi il cibo, alla ricerca e raccolta di frutti vari disponibili in natura per i membri della famiglia o del clan o magari della tribù.
L’approdo frequente di genti provenienti da oriente (ad esempio dalla penisola greca) o da sud (per intenderci dalle coste dell’attuale Libia, dalla Tunisia), portava pure conoscenze sulle tecniche di coltivazione del grano, dell’orzo ecc.; come addomesticare certe specie di animali utili sia per il lavoro nei campi sia per l’alimentazione.
Risorsa di vitale importanza e fondamentale nel loro cammino verso il miglioramento delle condizioni di vita, era il fuoco scoperto ormai da molti secoli (scoperta causale?), tanto preziosa quanto devastante per la sua capacità distruttrice.
Avere sempre a disposizione la fonte di calore, quindi sempre il fuoco acceso, per scaldarsi e per cucinare (sappiamo che i primi abitanti cuocevano il pane su pietre arroventate), era un’esigenza vitale, primaria, nella quotidianità della vita.
L’isola che c’è da appuntamento alla prosima puntata!

Sardo sono

lunedì 1 settembre 2014

L'isola che c'è - due

Le genti che approdavano nella nostra isola, le immagino mentre s’inoltrano verso l’interno su sentieri naturali, fermarsi in luoghi ricchi di selvaggina, di frutti naturali, di acqua, ripari naturali (caverne, grotte).
I capi famiglia o clan dediti alla caccia, alla difesa del luogo del momentaneo riparo, le donne dedite alla conservazione dei cibi, alla preparazione e mantenimento del fuoco, indispensabile alla vita di comunità o clan.
L’approdo sulla costa della nostra isola doveva essere vissuto dalle genti come una sorta di “liberazione” dalle acque. L’istinto di sopravivenza li spingeva a cercare un riparo per difendersi dalle intemperie, dagli animali, dalle condizioni ambientali. La paura, componente da cui l’uomo di qualsiasi epoca non può prescindere, accompagnava i loro peregrinare in luoghi sconosciuti, ma costretti dalla necessità di cercare e trovare luoghi migliori.
Quelle genti lottavano quotidianamente per adattare, regolare e modificare l’ambiente in cui si trovavano per l’istinto di sopravivenza. Le grotte naturali usate nei primi tempi, si accorsero che non bastavano più; spazi spesso angusti, umidi, freddi, presenza di animali pericolosi.
Immagino che si posero il problema di realizzare dei ripari più adatti alla vita di tutti e dei loro beni al seguito (animali, viveri). Per fare ciò, bisognava passare da una vita nomade a una vita sedentaria. In questo modo era possibile esplorare il territorio e individuare il luogo più adatto alla vita.
L’isola che c’è da appuntamento alla prossima puntata!

sardo sono