lunedì 1 settembre 2014

L'isola che c'è - due

Le genti che approdavano nella nostra isola, le immagino mentre s’inoltrano verso l’interno su sentieri naturali, fermarsi in luoghi ricchi di selvaggina, di frutti naturali, di acqua, ripari naturali (caverne, grotte).
I capi famiglia o clan dediti alla caccia, alla difesa del luogo del momentaneo riparo, le donne dedite alla conservazione dei cibi, alla preparazione e mantenimento del fuoco, indispensabile alla vita di comunità o clan.
L’approdo sulla costa della nostra isola doveva essere vissuto dalle genti come una sorta di “liberazione” dalle acque. L’istinto di sopravivenza li spingeva a cercare un riparo per difendersi dalle intemperie, dagli animali, dalle condizioni ambientali. La paura, componente da cui l’uomo di qualsiasi epoca non può prescindere, accompagnava i loro peregrinare in luoghi sconosciuti, ma costretti dalla necessità di cercare e trovare luoghi migliori.
Quelle genti lottavano quotidianamente per adattare, regolare e modificare l’ambiente in cui si trovavano per l’istinto di sopravivenza. Le grotte naturali usate nei primi tempi, si accorsero che non bastavano più; spazi spesso angusti, umidi, freddi, presenza di animali pericolosi.
Immagino che si posero il problema di realizzare dei ripari più adatti alla vita di tutti e dei loro beni al seguito (animali, viveri). Per fare ciò, bisognava passare da una vita nomade a una vita sedentaria. In questo modo era possibile esplorare il territorio e individuare il luogo più adatto alla vita.
L’isola che c’è da appuntamento alla prossima puntata!

sardo sono

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